Deformità

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Luca l’aveva vista morire davanti a sé.

Le sirene dell’ambulanza riecheggiano in lontananza come urla di dolore. I soccorsi stavano arrivando, ma non ci sarebbe stato nulla da fare. Dal campanile spiovente in mattoni rossi che domina il centro del corso suonano tre colpi sordi di campana. La calura si infiltra nella pelle di Luca come tanti piccoli scarafaggi. Getta un’occhiata fugace da sopra la spalla e scorge con la coda dell’occhio un ammasso di persone curiose, sparpagliate nei pressi del corpo. Deglutisce con fatica. Ha come la sensazione di poter svenire da un momento all’altro. Giunge a una fontanella e si bagna la testa. Il getto è potente sulla sua nuca, schizzi d’acqua che si disperdono frenetici come tante piccole schegge.

Lei sta per attraversare la strada e sembra spensierata. Ha lunghi capelli castani che formano tante piccole onde, porta degli occhiali da sole rotondi e ha le labbra distese in una forma che ricorda quella di un sorriso appena accennato, inconsapevole.

Luca si ispeziona la maglietta e i jeans chiazzati d’acqua. Ora si sente meglio, un leggero senso di sollievo gli si accumula al centro del petto. I suoi pensieri recuperano un po’ di quella razionalità smarrita alla vista dell’orribile incidente.

Lei compie un passo, poi un altro e un altro ancora. È quasi a metà delle strisce pedonali, il suo sguardo mira dritto verso il bar in cui Luca è seduto a bere un caffè, e la sta sbirciando tra le pagine di un quotidiano.

La maglietta bagnata gli si attacca alla pelle come una ventosa nei punti in cui è zuppa d’acqua. Con le dita se la distacca dal petto e la scuote compiendo un movimento meccanico del polso.

Nel frattempo riprende a camminare, incrociando gli sguardi curiosi e circospetti delle persone che incontra, e che mirano alla direzione opposta alla sua. Tutta quella gente si starà domandando cosa sia successo, è normale, tutti se lo chiedono alla vista di un’ambulanza ferma in un luogo pubblico, con altrettanti gruppi di persone che sostano nei dintorni in cerca di risposte. L’uomo prova una sorta di banale eccitazione mista a una frivola curiosità in momenti come quelli. Ha bisogno di vedere, di capire, brama di poter riferire il suo dispiacere al vicino e al contempo ringrazia qualcuno lassù nel cielo per non essere lui quello a cui è capitato il fattaccio. Prova un distacco gratificante osservando la vittima, un distacco che non si misura in metri bensì in sensazioni.

Più la vittima è sconosciuta, più il distacco è maggiore e ricco di emozioni che esaltano e rendono gloria alla condizione di superiorità e sicurezza della persona esterna; al contrario, se la vittima è una persona che si conosce, o peggio ancora una persona vicina, un famigliare, il distacco si riduce sensibilmente, e la condizione della vittima tende a combaciare con quella della persona esterna fino a diventarne un tutt’uno.

Luca non riesce a staccarle gli occhi di dosso. È ipnotizzato dalla suadente eleganza del suo portamento. La sua falcata ricorda quella di una modella che sfila in passerella. Il vento le scompiglia i capelli per un attimo. L’attimo successivo una Jeep la centra in pieno a tutta velocità.

Luca cammina piano, respira grandi boccate di aria secca e umida. Cerca di controllare l’impulso di voltarsi nuovamente indietro. Poi cede, e nello stesso momento l’urlo straziante di una donna si leva in alto da lontano, inaspettato come il rombo di un tuono in un cielo estivo.

Immagina la madre di quella ragazza. Immagina il senso di impotenza che la sta devastando di fronte al corpo di sua figlia. Immagina i giorni a seguire e la lotta contro l’accettazione di una realtà ancora troppo surreale da essere considerata come vera. Una fantasia, un sogno lucido, un evento distante, sconosciuto, non previsto in nessun mondo esistente possibile.

Si sente la testa girare, gli sale un po’ di nausea, si ferma e si va a sedere su una panchina nelle vicinanze. È occupata per metà da due signore anziane che si stanno facendo aria con un ventaglio. Indossano delle vestaglie lunghe a righe e a pallini, il petto scoperto sino all’altezza di un seno cadente e abbondante. Luca osserva la pelle sudata e appiccicosa delle due donne, capelli corti e ricci attaccati alla fronte e la bocche a fessura che esalano sbuffi di aria tiepida. Sono in silenzio, ed entrambe hanno uno sguardo perso che punta verso il negozio di vestiario di fronte. Non si curano di ciò che sta succedendo in fondo alla via. Diventare anziani significa essere costretti ad accettare la propria condizione, con tutto quello che questa comporta: un corpo rugoso, piccoli o grandi acciacchi, una vistosa diminuzione delle energie e la contemplazione di un mondo che non è più il tuo e che muta continuamente a un ritmo schizofrenico. Si prova la sensazione di essere tagliati fuori. E più gli anni passano, più questa sensazione diventa tangibile sino a quando la malattia e la morte ti assalgono, e spazzano via quel che rimaneva dei tuoi sforzi tesi a restare vivo e umano e partecipe del mondo. A quelle due anziane signore sedute sulla panchina a fianco di Luca, non interessa di affacciarsi alla finestra della morte e della disgrazia per compiacere alla propria esistenza, così che tutti i loro fallimenti e le loro frustrazioni diventino banalità da riuscire a essere ignorate per un tempo determinato. Proveranno dispiacere, pena, sollecitudine, ma non prederanno parte a quel teatrino di curiosi. L’avrebbero potuto fare se fossero state giovani. È una viva possibilità che si sarebbe potuta concretizzare, ma anche no. Tuttavia, nello stato attuale delle cose, le due donne hanno alle spalle una vita che non possono più tentare di rivivere: non possono più reinventarsi, cambiare, diventare qualcuno che si desidera di essere e che non si ha mai avuto il coraggio di farlo. Tutti i loro fallimenti sono destinati a essere accettati e messi da parte una volta per tutte, e se risorgono a tormentare i loro animi, sono presto scacciati dalla amara consapevolezza che nel loro futuro non ci saranno più giorni in cui potersi riscattare. Ci sarà unicamente staticità e l’incontro fortuito o incombente con la fine.

Un ultimo sguardo alle due donne sedute sulla panchina, e Luca si rimette in piedi e continua la sua marcia tesa ad allontanarsi il più possibile dal luogo dell’accaduto. L’aria secca si palesa in sporadiche folate che profumano di foglie e fiori.

Lo stridore di una sterzata e un botto secco, un suono simile a quello di un pallone di tela che scoppia. Il corpo della giovane donna viene spazzato via senza che Luca abbia il tempo di accorgersene. Rimane paralizzato sulla sedia, mentre alcune persone nei paraggi gridano e chiamano i soccorsi e si avvicinano al corpo della ragazza. Dalla jeep scende un uomo di mezz’età. Luca lo osserva portarsi le mani sul viso, poi sulla testa, tormentarsi come un forsennato, gli occhi dilaniati e la bocca contorta. Quando Luca si alza dalla sedia, la vede.

Il corpo dista almeno una decina di metri da lui. Non capisce se la ragazza sia ancora viva, se respira, se compie piccoli movimenti tesi a chiedere aiuto.

Luca si avvicina, il respiro in affanno, le persone cominciano ad accalcarsi, schiene piegate e volti paralizzati.

Una ragazza vomita nelle vicinanze. Chiede scusa senza riferirsi a qualcuno in particolare, e prosegue a camminare pallida in viso.

Luca sente un uomo sulla cinquantina, alto e con un paio di baffi folti che gli si distendono sul labbro superiore fino a coprirlo del tutto, parlare al telefono con sua moglie: «Ero proprio davanti amore, stavo per attraversare anch’io, è stato orribile, la ragazza ora è stesa a terra, sembra morta, potevo morire amore, potevo morire anch’io».

Luca lo sorpassa ed è sempre più vicino al corpo di lei. Nota che l’uomo che si trovava alla guida dell’auto è piombato in un profondo stato di shock. Si è seduto sul bordo del marciapiede. È cadaverico, l’espressione contratta in una smorfia che rasenta la disperazione, gli occhi vacui e la fronte imperlata di sudore. Non parla. Immobile, fissa il vuoto in una maniera così intensa da poter essere scambiato per una statua di cera.

Ora Luca si trova a poca distanza dal corpo. Non ci mette molto a comprendere che per quella ragazza è tutto finito. Tutto si è risolto in una manciata di secondi. Probabilmente non si è nemmeno accorta che stava per morire. Nel caso contrario, quei pochi secondi sfuggevoli che avevano preceduto allo schianto erano stato indecifrabili e impossibili da elaborare.

Luca cammina attorno al corpo tenendosi a debita distanza. Un uomo che sostiene di essere un infermiere è in ginocchio a fianco della donna, urla di allontanarsi il più possibile.

Lo sguardo di Luca si poggia sul viso di lei. Gli occhi sono spalancati come quelli di una persona che viene spaventata all’improvviso. Rasentano l’orrore, il terrore, la paura di morire. La sua mascella non sembra più essere in asse. La bocca è spalancata e il mento tende verso il basso, sfiora il cemento. Il suo viso è deforme. Il volto di quella giovane ragazza affascinante, dalla camminata cadenzata, morbida ed elegante, che pochi minuti prima Luca stava osservando con occhi che tradivano un’ombra di desiderio, ora è scomposto, osceno, il palmo della mano ossuto della morte le si è posato sopra per derubarla della vita, l’attimo seguente il suo viso si è rotto in mille pezzi.

L’urlo di un passante desta Luca dallo stato di profonda trance in cui era piombato, mentre osservava il volto della giovane ragazza.

La sua mente fugge dalla tenebra che si stava insinuando lentamente, strisciando come un serpente velenoso. Il volto squadrato di lei è piegato verso di lui. Una richiesta di aiuto, una maledizione, un messaggio che lo invita a ricordarsi di lei.

Luca si volta di schiena. Si allontana dondolante, le forze lo hanno abbandonato.

Gli occhi di lei  pesano sulle sue spalle come macigni. Sente di dover urlare a squarciagola e liberarsi di qualcosa di indefinito che gli si sta accumulando dentro al corpo come spazzatura.

Si volta nuovamente all’indietro. La calca di persone è aumentata. Schiene su schiene. Volti spaventati, increduli, sbigottiti. Movimenti frenetici con le mani, passi nervosi uniti a parole appena sussurrate a se stessi.

Luca distoglie lo sguardo dalle persone lì attorno e lo punta in direzione del cielo. Osserva due nuvole bianche, gonfie e distese sullo sfondo di un azzurro pallido.

Dopo qualche secondo, le stesse nuvole gli sembrano stare assumendo la forma di due occhi giganti.

Luca si strofina la faccia. Rialza lo sguardo. Le nuvole ora si sono unite in un’unica bocca storta e spalancata.

L’istinto di urlare. Luca lo trattiene smorzando il respiro.

Intravede la sagoma di una fontanella in lontananza.

Necessita di bagnarsi la testa. Gli spessi raggi del sole lo stanno uccidendo.

Progetto parallelo

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Beitempiandati

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